Paura e speranza in un mondo realistico

Paura e speranza

Nell’essere umano la percezione della realtà è condizionata dalla speranza ma anche della paura: due elementi inconsapevoli e contrastanti.

Perché questi due elementi appaiono nella nostra vita?

La paura ci blocca a causa del pensiero che il futuro possa essere un’incognita ma non sempre è questa la verità!

La speranza ci esorta a fare sempre meglio e ad assaporare il risultato finale.

L’obiettivo finale è quello di comprendere, accettare e lavorare con la realtà affinchè la sua bellezza sia entusiasmante.

Questo è quello che pensa Ray Dalio (noto imprenditore che Time e Forbes ha inserito fra le prime 100 persone più ricche al mondo).

Una visione iperrealista

Infatti, secondo Ray Dalio, le persone si dividono in coloro che “si godono la vita” e coloro che “lasciano il segno”.

Nessuno dei due obiettivi è migliore dell’altro e nessuno è separabile dall’altro: entrambi si possono seguire in una formula: “Sogni + Realtà + Determinazione = Risultati”.

Qual è la soluzione?

La soluzione è avere un’apertura mentale che possa eliminare dubbi e perplessità riguardanti la percezione della realtà.

Quando la realtà ci coinvolge si cercano delle interpretazioni che ci rassicurino affinchè si viva meglio.

L’uomo, rispetto agli animali è razionale. Quindi, nonostante l’istinto sia primordiale, riesce a “vedere” quello che lo circonda ed a capire la logica del funzionamento delle cose intorno a lui.

L’istinto e l’emozione nell’uomo, nonostante tutto, fanno parte della natura animale ma è il ragionamento che li distingue dagli animali.

E’ per questo che bisogna essere in grado di valutare le scelte che si andranno a fare per raggiungere l’obiettivo che ci si è prefissati. Per raggiungere questo bisogna impegnarsi ad essere sempre efficienti altrimenti non si raggiungerà mai lo scopo.

Nella vita bisogna valutare con calma ed a sangue freddo: “distaccati” da ogni scelta che si andrà a compiere affinchè si possa ottenere un risultato soddisfacente.

Purtroppo, non sempre, i risultati in cui si spera arrivano nei tempi che si sono prefissati: infatti bisognerebbe “lavorarci” molto tempo per ottenere qualcosa di veramente soddisfacente per la propria persona. Ma questo intoppo non deve far demordere perché nella vita non si potrà sempre avere la propria soddisfazione nell’immediato: ci vogliono assolutamente dei tempi giusti!

Quando la realtà coinvolge noi e quello che facciamo, spesso troviamo interpretazioni che ci rassicurano o addolciscono una verità che non accettiamo.

Avere la capacità di valutare in modo freddo e distaccato le scelte che siamo in procinto di compiere per raggiungere il nostro obiettivo è qualcosa in cui dobbiamo impegnarci. L’efficenza è un sotto prodotto del realismo, della valutazione distaccata.
Se sai che per ottenere il risultato che ti sei prefissato devi lavorare per un periodo indefinito, devi essere anche consapevole che non lo puoi mettere continuamente in discussione solo perché non ti dà nessuna soddisfazione nell’immediato. Fare i conti con la realtà, avere una visione distaccata è l’unico modo che hai di poter perseguire un risultato.

Le persone che raggiungono i loro obiettivi raramente confondono un atteggiamento positivo con un piano intelligente, mentre si rendono perfettamente conto che è improbabile che l’uno senza l’altro possa portarli verso una specifica meta.

I giovani e il lavoro: tra paura e speranza

Gli uomini e le donne, infatti, che per procurarsi il sostentamento per sé e per la famiglia esercitano il proprio lavoro in modo tale da prestare anche conveniente servizio alla società, possono a buon diritto ritenere che con il loro lavoro essi prolungano l’opera del Creatore, si
rendono utili ai propri fratelli e donano un contributo personale alla
realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia.

Quello del lavoro è da anni tra i temi più dibattuti a livello politico e sociale, quasi sempre esso è trattato come indissolubilmente legato alla contingenza della crisi economica e della conseguente incapacità strutturale dell’Italia di dare risposte all’altezza delle nuove esigenze del “mercato” del
lavoro. Questa incapacità strutturale deriverebbe da vari fattori che si collocano in posizioni diverse del mondo del lavoro: dalle relazioni tra le parti sociali, a schemi contrattuali poco o troppo flessibili, all’incapacità degli enti formativi di fornire una formazione adeguata all’inserimento nel mondo del lavoro.

L’obiettivo non è quindi di rifiutare ogni cambiamento nelle politiche del lavoro, ma di riaffermare che tali cambiamenti non devono essere espressione di una mera mercificazione del lavoro e della volontà di raggiungere la massima produttività nel breve periodo al minor costo possibile, ma quella di creare valore nel lungo periodo sia per l’azienda che per il lavoratore.

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